Abbiamo pensato di fare cosa gradita, indicando per i relatori del convegno di Roma alcune note sul loro rapporto con la vulvodinia, per approfondire la loro conoscenza e renderli più vicini all’esperienza che le donne vivono.

Buona lettura!

Dott. Mario Sideri

D. Quando e come ha “incontrato” la vulvodinia nella sua vita professionale?
R. Nel 1984 al Congresso negli USA della ISSVD, l’International Society for the Study of Vulvovaginal Disease. Questa organizzazione è nata nel 1970 e ha raccolto tutti gli specialisti interessati alle patologie vulvovaginali.

D. Cosa l’ha colpita di più di questa patologia e dei disagi che procura?
R. Mi ha molto colpito il clima di sottovalutazione che la circonda, una specie di omertà.

D. Cosa rappresenta per la comunità medica il convegno del 21 maggio?
R. Il convegno del 21 maggio ha rappresentato un’ulteriore occasione di parlare e far conoscere l’esistenza di questa patologia.

D. Cosa crede che rappresenti per le pazienti?
R. La vulvodinia rappresenta una condizione frustrante con pesanti implicazioni sulla qualità della vita e quindi il convegno è stato un momento importante di visibilità e conoscenza.

 

Dott.ssa Stefania Taraborrelli

D. Quando e come ha “incontrato” la vulvodinia nella sua vita professionale?
R. Ho scoperto la vulvodinia ascoltando il dott. Murina diversi anni fa ad un convegno, dopo il quale ho iniziato a studiare e ad approfondire il tema con assiduità.

D. Cosa l’ha colpita di più di questa patologia e dei disagi che procura?
R. Sicuramente mi ha colpita la fragilità delle donne che ne soffrono: spesso girano anni prima di riuscire a incontrare specialisti esperti del settore.

D. Cosa rappresenta per la comunità medica il convegno del 21 maggio?
R. Al convegno del 21 maggio hanno partecipato gli specialisti più attivi e aggiornati in Italia nell’ambito della vulvodinia e sicuramente, oltre al confronto culturale, è stato un modo per cercare di sensibilizzare il mondo scientifico su una patologia così presente e spesso non riconosciuta a discapito della salute delle donne.

D. Cosa crede che rappresenti per le pazienti?
R. Le pazienti hanno potuto capire finalmente di essere ascoltate e, soprattutto, hanno colto le possibilità per essere adeguatamente curate.

 

Dott.ssa Graciela Estela Cognigni 

D. Quando e come ha “incontrato” la vulvodinia nella sua vita professionale?
R. Ho incontrato questa patologia molto tempo fa e con una certa frequenza nelle pazienti che si sono rivolte a me.

D. Cosa l’ha colpita di più di questa patologia e dei disagi che procura?
R. Mi ha colpito il disagio che porta la patologia alle pazienti, la difficoltà della terapia e nel raggiungere apprezzabili risultati clinici.

D. Cosa rappresenta per la comunità medica il convegno del 21 maggio?
R. Il convegno rappresenta un grosso passo avanti per la cura di questa patologia.

D. Cosa crede che rappresenti per le pazienti?
R. Rappresenta la possibilità di raggiungere una opzione terapeutica multidisciplinare per risolvere la patologia.

 

Dott. Francesco Pesce

D. Quando e come ha “incontrato” la vulvodinia nella sua vita professionale?
R. Nel 1983, nel corso di uno stage di aggiornamento per altre patologie presso un Centro di San Francisco dove lavorava un pioniere nella ricerca in ambito di dolore pelvico cronico, il dr. Richard Scmidt.

D. Cosa l’ha colpita di più di questa patologia e dei disagi che procura?
R. Mi ha colpito il grande sconforto, talora sconfinante nella disperazione, delle persone che ne sono affette.

D. Cosa rappresenta per la comunità medica il convegno del 21 maggio?
R. Una grande e rara occasione per scoprire o aggiornarsi su una patologia troppo spesso misconosciuta.

D. Cosa crede che rappresenti per le pazienti?
R. La speranza.

 

Dott.ssa Beatrice Armocida

D. Quando e come ha “incontrato” la vulvodinia nella sua vita professionale?
R. L’incontro con la vulvodinia è avvenuto per una casualità personale poiché ne ho sofferto in prima persona, e quindi ho scelto di aiutare le altre donne che, in tutta Italia, affrontano la stessa patologia. Ho approfondito a livello professionale l’aspetto psicologico legato alla vulvodinia: inizialmente ho anche gestito un sito con relativo forum che permetteva alle donne uno sfogo e un confronto sulla patologia, ma parallelamente ho iniziato, e oggi continuo, a occuparmi di vulvodinia, sia in merito alla terapia che al sostegno psicologico.

D. Cosa l’ha colpita di più di questa patologia e dei disagi che procura?
R. Quello che inizialmente più mi ha colpito della vulvodinia è la mancanza di informazione da parte dei medici, la disperazione delle donne che non possono dare un nome alla loro sofferenza e, ovviamente, non possono intraprendere una cura adeguata, e infine, il calvario che le aspetta col passare del tempo. Una volta accertata la patologia con una corretta diagnosi e impostata una terapia adeguata, il disagio, che ormai è parte integrante della vita della donna, sembra scemare grazie alla speranza di guarigione, però resistono le problematiche relative alla sessualità, alla vita di coppia e a comportamenti quotidiani centrati sulla patologia.

D. Cosa rappresenta per la comunità medica il convegno del 21 maggio?
R. Sicuramente è stato un passo rilevante verso la consapevolezza a livello nazionale di quanto questa patologia sia diffusa e di quanto ancora sia necessario investire risorse e impegno scientifico per formare un numero maggiore di professionisti in grado di diagnosticare e curare la vulvodinia in base a protocolli riconosciuti scientificamente. Spero che questo convegno abbia smosso qualcosa a livello istituzionale e che abbia dato più di uno spunto alla comunità medica sull’importanza di ogni aspetto di questa patologia, dalla diagnosi alla cura multifattoriale.

D. Cosa crede che rappresenti per le pazienti?
R. Per le pazienti rappresenta insieme un punto d’arrivo – in quanto sono riuscite a informare e sensibilizzare le istituzioni sui disagi di una patologia così complessa – e di partenza per creare e intensificare una rete di informazione e formazione ad ampio raggio, con la possibilità inoltre di sviluppare progetti di ricerca scientifica. Per le pazienti credo che il 21 maggio abbia rappresentato la realizzazione di un sogno poiché il loro grido di speranza finalmente è stata ascoltato e preso in considerazione dalle Istituzioni competenti.

Intervista ai relatori del convegno del 21 Maggio 2014